Nato a Elte, in Germania, nel 1973
Vive e lavora a Lipsia
Negli anni Settanta, «l’international style» dell’arredamento di interni piccolo borghesi è tutto un tripudio di carta da parati a motivi geometrici e ingialliti, mobilio dozzinale in truciolato rivestito di formica simil-rovere, simil-mogano, simil-ciliegio, pouf e tappezzerie ad arabeschi o motivi maculati, tigrati, zebrati, moquette, tavolinetti da tè e, qua e là, qualche riproduzione a stampa di Warhol o altri artisti à la page. Negli States come nella DDR. Niente oggi appare più triste e polveroso, kitsch e scadente, niente è invecchiato più in fretta e si è attestato nell’estetica del brutto con più veemenza di quello che chiamiamo «modernariato». Eppure guardando un vecchio film in tecnicolor, una spy-story o una qualche commedia holliwoodiana questi spazi tornano ad essere familiari come divertenti ricordi.
Questi interni hanno caratterizzato per anni l’immaginario visivo di Matthias Weischer. Non una forma di vita vi abita, non una figura che vada oltre il manichino li percorre per un solo istante. Assenza, apparentemente momentanea, ma pure costante in tutti i lavori dell’artista e che contribuisce al senso enigmatico, quasi metafisico, delle opere, alla sospensione incondizionata della dimensione temporale. In tutta questa semplicità, in tutto questo silenzio fuori dal tempo, l’attenzione dello spettatore può così concentrarsi sullo spazio, sui volumi che si manifestano nella loro complessità e nei quali gli oggetti, i piani e le superfici colorate sembrano solo una folle combinazione del caso. La raffigurazione dello spazio e degli spazi è il vero cardine della ricerca artistica di Weischer.
La ricchezza dei dettagli tuttavia è sempre significante e apre a piccoli mondi caleidoscopici, sospesi tra ordine e disordine. Infinite sono le storie possibili e alle quali si allude e infiniti sono dettagli che rimandano in modo più o meno diretto alla storia dell’arte, dell’architettura o del design. Si attesta anche qui la poetica della citazione e sorprende come un soggetto così semplice, l’interno domestico, nelle infinite declinazioni, offra infinite possibilità per scorribande nella storia della pittura e dell’architettura.
Tutto questo lo troviamo ad esempio in Fernsehturm (2004): il mobilio dozzinale, la torre protagonista del dipinto fatta con le carcasse di vecchi televisori a tubo catodico, ambiguità prospettiche, silenzi metafisici, indizi da “narrative art” disseminati qua e là.

Quanto è ormai insolito oggi vedere un biliardo nelle case alla moda e quanto invece era un must fino a trent’anni fa: in Billardraum (2002) un teatrino in primo piano e una porta sullo sfondo complicano la spazialità con gli espedienti dello spazio nello spazio e dello «sfondato». Porta aperta sulla sinistra e paravento in mezzo alla stanza hanno la stessa funzione in Memling (2006-15), con la sua eclettica commistione di stili e soluzioni d’arredamento fuori moda; qui è anche la marcata dialettica tra volume e superficie, lo studio delle potenzialità e dei limiti della raffigurazione bidimensionale di uno spazio, a manifestarsi in tutta la sua evidenza.

Molto più caldi e materici, pur non perdendo l’interesse concettuale sui temi appena trattati, sono i giardini e gli ambienti dipinti negli ultimi anni. Questi riprendono direttamente l’estetica naturalista sette-ottocentesca della decorazione delle maioliche, con una strizzatina d’occhio anche alle pitture pompeiane o al primo Rinascimento, le gamme cromatiche terrose o brillanti e i verdi inesauribili nelle sfumature. Francescani e pierfrancescani Carré 1 e Carré 2 (2015) ci portano dentro la cella di un convento o in una cappella spoglia, in una prigione del Mali o nel vestibolo di una domus romana… Ma chi ha perso una scarpetta blu?

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Nato a Elte nei pressi di Monaco di Westfalia nel 1973, consegue il BFA in pittura (2000) e il MFA (2003) alla Höchschule für Grafik und Buchkunst di Lipsia. Qui è tra i principali esponenti della nuova Scuola di Lipsia. Tra le mostre personali si ricordano Matthias Weischer. In und auf Papier al Kloster Bentlage di Rheine (2016), Matthias Weischer: Das Druckgraphische werk all’Akademie Franz Hitze-Haus di Münster (2015), The Vincent Award Room: Matthias Weischer al Gemeentemuseum Den Haag dell’Aia (2014), Alice, Armin und all die anderen. Auf Papier al Museum der bildenden Künste di Lipsia e al Kunstverein Bremerhaven (2011), Obra neuva al Museo Arte de Ponce (2011), Room with a View alla Kunsthalle Mainz (2009), In the Space Between al Centro de Arte Contemporáneo de Málaga (2009), alla Kunsthalle Mannheim (2007) e al Gemeentemuseum dell’Aia (2008), Malerei – Painting al Museum zu Allerheiligen Schaffhausen (2007), Der Garten – Arbeiten auf Papier al Neuer Berliner Kunstverein di Berlino (2007), Arbeiten auf Papier al Kunstverein Konstanz e al Kunstverein di Ulm (2006), Matthias Weischer. Malerei al Ludwig Forum Internationale Kunst di Aachen (2006), Simultan alla Künstlerhaus di Brema (2004), Räumen alla Kunsthaus Essen (2002). Tra le molte personali si ricordano The Inevitable Figuration al Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci di Prato (2013), Germania contemporanea. Dipingere è narrare: Tim Eitel, Matthias Weischer, David Schnell al MART di Trento e Rovereto (2008) e la 51a Biennale d’Arte di Venezia, Padiglione italiano (2005). È rappresentato dalle gallerie Lehmann Maupin di New York, König di Berlino e GRIMM di Amsterdam e New York.
Riferimenti bibliografici
Alexander Wolf, Matthias Weischer: Open Spaces, in “Blouinartinfo International”, 31 marzo 2010 https://www.blouinartinfo.com/news/story/34161/matthias-weischer-open-spaces
Diana D’Aremberg, Matthias Weischer in Conversation, in “Ocula”, 2 ottobre 2015 https://ocula.com/magazine/conversations/matthias-weischer/
Ana Umbría, Matthias Weischer. Versus los actos del espacio, in Matthias Weischer. In the Space between, cat. della mostra al Centro de Arte Contemporáneo de Málaga, 2008
Sally O’Reilly, A Question of Perspective in “Frieze”, 3 marzo 2004, https://frieze.com/article/matthias-weischer
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