Nato a Città del Messico nel 1972
Vive e lavora a Città del Messico
I lavori di Pedro Reyes si confrontano con le questioni sociali e politiche del presente e sono, sempre più spesso, progetti su larga scala che impiegano diversi media come scultura, performance, video, il teatro sperimentale e di figura e le pratiche partecipative dell’arte relazionale.
Sanatorium (2011) è una sorta di clinica che fornisce brevi terapie per quelle afflizioni tipiche delle società occidentali, come lo stress, la solitudine, la depressione o le violenze domestiche. Il visitatore può scegliere tre delle sedici terapie proposte. Tutti i trattamenti si basano su pratiche non invasive, sull’effetto placebo e l’autosuggestione, riprendendo metodi della psicologia della Gestalt, del coaching aziendale, della risoluzione dei conflitti, della costruzione della fiducia, ma anche azioni “fluxus”, pratiche sciamaniche, ipnosi. Anche se è chiaramente indicato che ogni trattamento non si basa su criteri scientifici, questo progetto dimostra l’efficacia dell’autosuggestione nella risoluzione di molti disturbi. Sanatorium è stato riproposto in diverse sedi come Documenta 13 a Kassel (2012), l’ICA di Miami (2014) o Art Basel (2014), denunciando in giro per il mondo l’importanza della cura e del sostegno alle persone, a prescindere dal reddito.
Altri temi ripetutamente affrontati sono la crisi alimentare (Entomofagia, 2013), la politica internazionale (pUN: People’s United Nations, 2015), il lato oscuro dello sviluppo tecnologico e la critica verso i «fondatori», vale a dire la nuova classe di imprenditori del digitale che cercano di superare il libero mercato e imporsi attraverso meccanismi poco trasparenti di controllo (Manufacturing Mischief, 2018). La riflessione attorno ai temi della filosofia politica è da sempre centrale nel lavoro di Reyes, chiaramente impostato su un approccio marxista. Utilizzando spesso pupazzi fatti a mano provenienti dal Giappone e ispirati alla tradizione del Bunraku, Reyes ha messo in scena spettacoli divertenti e geniali come Baby Marx (2008), satira politica con protagonisti Karl Marx e Adam Smith, o The Permanent Revolution (2014), sulla vita di Leon Trotsky.
Statues (2014) riproduce i volti di Marx, Trotsky, Lenin, Frida Kahlo e David Siqueiros, scolpiti nella roccia vulcanica e riuniti fisicamente insieme in una stanza, a sottolineare l’unità del loro credo ideologico. Casino Filosófico (2008) è una serie di poliedri, che funzionano come dadi giganti: il giocatore, posta la sua domanda, può lanciare i dadi in cerca di un responso. Irrazionale come ogni forma di oracolo, ma razionale nelle risposte proposte dai più grandi filosofi del passato, questo gioco ci mostra – come alcuni anni dopo fa Sanatorium – l’importanza dei simboli, della solidità del pensiero, ma anche dell’atteggiamento e della predisposizione del singolo nel superamento di ogni avversità.
William Davies ha messo in luce come l’emotività e il rifiuto crescente per gli argomenti razionali e scientifici stia conquistando il modo di fare politica e le masse; in questa ottica è sempre più comune la tendenza a creare e instillare nell’elettorato le paure più diverse e comunque a sfruttarle per ottenere consenso. La ricerca artistica di Reyes si confronta negli ultimi lavori con l’osservazione dei meccanismi di produzione delle paure e degli effetti di queste sulla gente. Doomocracy (2016) si pone a metà strada tra la casa stregata di un lunapark e il teatro immersivo. Il progetto, realizzato con la collaborazione dell’associazione non-profit Creative Time presso il Terminal Army di Brooklyn, è una complessa installazione fatta di ambienti che portano lo spettatore a riflettere sui temi dell’attualità che erano stati (o avrebbero dovuto essere) centrali della campagna elettorale per le presidenziali del 2016: la vendita delle armi da fuoco, i cambiamenti climatici, le diseguaglianze economiche, il sistema sanitario, la diffusione degli OGM, la politica estera, le catene di fast food e le abitudini alimentari. Temi particolarmente sentiti negli USA ma che oggi accomunano tutto l’Occidente. Una «casa degli orrori della politica», aperta le sere nel periodo tra Halloween e le elezioni, due eventi che da sempre segnano l’immaginario culturale americano. Una grande Statua della Libertà in legno accoglieva i visitatori nel cortile centrale dei grandi depositi militari.
Palas por Pistolas (2008) infine è un progetto artistico e allo stesso tempo una campagna per frenare il commercio di armi da fuoco in America. L’artista ha lavorato con le autorità locali di Culiacán, Messico, e la popolazione è stata invitata da una serie di spot televisivi e annunci radio a consegnare armi da fuoco in cambio di buoni per l’acquisto di nuovi elettrodomestici. Sono state raccolte 1527 armi che sono state pressate e rifuse in altrettante pale da giardinaggio. Gli utensili sono stati distribuiti in scuole pubbliche e istituti d’arte di varie città, per essere impiegate nella messa a dimora di alberi. Da strumento di morte l’arma si trasforma così in strumento per dare vita. Con intento simile nasce Disarm (2013), per il quale il governo messicano ha donato oltre 6700 armi da fuoco confiscate che Reyes ha trasformato in strumenti musicali meccanizzati ed effettivamente funzionanti. Il secondo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti d’America garantisce il diritto di possedere armi: Amendment to the Amendment (2015) ha preso forma attraverso una serie di workshop itineranti finalizzati a riscrivere la norma insieme ai cittadini statunitensi.
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Nato a Città del Messico nel 1972, Pedro Reyes ha studiato architettura alla Universidad Iberoamericana di Città del Messico. Tra le mostre personali più importanti si ricordano Think Twice allo SCAD di Savannah (2019), Doomocracy al Brooklyn Army Terminal di New York (2016), For Future Reference al Dallas Contemporary (2016), Domingo Salvaje a La Tallera di Cuernavaca (2016), Disarm (Mechanized) al Turner Contemporary di Margate (2015), El juego de la vida al Centro de Arte Caja de Burgos (2015), The Permanent Revolution al Museo Jumex di Città del Messico (2014), Sanatorium all’Institute of Contemporary Art di Miami (2014) e al The Power Plant di Toronto (2014), Palas por Pistolas alla Fordham University di New York (2014), The People’s United Nations (pUN) al Queens Museum di New York (2013) e allo Hammer Museum di Los Angeles (2015), Ear al Consolato USA di Tijuana (2012), Baby Marx al Walker Art Center di Minneapolis (2011), Sanatorium al Solomon R. Guggenheim Museum di New York (2011), UGP: Urban Genome Project allo United Cities and Local Governments di Città del Messico e ad Artissima a Torino (2010), la personale al Center for Contemporary Art Kitakyushu (2009), 47 Undertakings al Bass Museum di Miami (2008), Conflict Resolution (con Teddy Cruz) al San Francisco Art Institute (2008), Ad usum: To Be Used al Carpenter Center della Harvard University di Cambridge (2006), Reciclon allo Aspen Art Museum (2006), Dream Digestor alla Arnolfini di Bristol (2005), Nomenclatura Arquímica alla Sala de Arte Público Siqueiros di Città del Messico (2002), Jardines Colgantes alla La Torre de los Vientos di Città del Messico (2000). Ha partecipato a Documenta 13 a Kassel (2012) e alla 50a Biennale d’arte di Venezia (2003). Gallerie di riferimento sono Lisson Gallery di Londra New York e Shanghai, Labor di Città del Messico e Luisa Strina di San Paolo. Sito dell’artista: http://www.pedroreyes.net.
Riferimenti bibliografici
Hannah Ghorashi, Artist Pedro Reyes is staging a Madhouse at Art Basel, in “I-D Magazine”, 5 dicembre 2014, https://i-d.vice.com/en_uk/article/xwxdjw/artist-pedro-reyes-is-staging-a-madhouse-at-art-basel
Alex Rayner, Doomocracy: the funhouse haunted by Trump and Clinton, in “The Guardian”, 22 settembre 2016, https://www.theguardian.com/artanddesign/2016/sep/22/doomocracy-art-installation-pedro-reyes-haunted-trump-and-clinton
Ellie Newman, Pedro Reyes’ Manufacturing Mischief Finds Comedy in Technology, Politics, and Philosophical Thought, in “UChicago Arts Magazine”, 8 febbraio 2019, https://arts.uchicago.edu/article/pedro-reyes%E2%80%99-manufacturing-mischief-finds-comedy-technology-politics-and-philosophical
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