Nata a Buenos Aires, Argentina, nel 1976
Vive e lavora a New York
La condizione dell’individuo nel sistema di produzione e consumo e il ruolo particolare della donna nel complesso gioco delle relazioni umane e professionali sono temi attuali e centrali nella produzione di molti artisti. Mika Rottenberg ci parla di tutto questo percorrendo i sentieri del paradossale e del perturbante, dell’onirico e dell’ironico, tutto filtrato attraverso una potenza visiva straordinariamente esagerata.
Il lavoro viene quasi sempre rappresentato come una serie di azioni apparentemente senza senso ma caratterizzate da molti possibili livelli di lettura simbolici. Stride e assume forza dirompente il contrasto tra ripetitività alienante e nonsense delle azioni (es. Tropical Breeze, 2004), tra complessità degli ambienti e semplicità dei gesti (es. Cosmic Generator, 2017), tra la meccanica dei dispositivi e dei congegni e la sensualità dei prodotti (es. Dough, 2005-06).
L’artista combina video e installazione. Secondo una prassi comune a quella di altri giovani videoartisti come Nathalie Djurberg, spesso il video è proiettato in ambienti pensati come prolungamento nel reale della «realtà» filmata, spazi capaci di coinvolgere lo spettatore sul piano fisico oltre che su quello strettamente visivo. I video d’altro canto sono strutturati a partire da una spazialità studiata e articolata per ambienti contigui, sovrapposti o giustapposti, che sono i contenitori di personaggi e azioni: la narrazione si articola susseguendosi nei vari ambienti o rimbalzando tra di essi.
Ritornano presenze femminili dalle caratteristiche fisiche eccezionali come la wrestler Rock Rose, la body builder Hester Foster, l’altissima Tall Kat e la superobesa Raqui, che scardinano ogni stereotipo di femminilità e generano sorprendenti contrasti con gli ambienti stretti e oppressivi, claustrofobici e alienanti, che le ospitano. Sono donne che usano il corpo stesso come mezzo di produzione, oltre che come prodotto.
In NoNoseKnows (2015) lo spettatore arriva alla piccola sala video attraversando un negozio di perle con scaffalature e contenitori e una macchina dell’aria condizionata ad acqua. Protagonista del video è una figura femminile che opera da un ufficio riempito di piante e piatti pieni di cibo; la sua attività consiste nell’odorare fiori e starnutire – come in Sneeze (2012) – piatti di cibo pronto; il suo naso poi si allunga fino ad infilarsi in un’apertura della parete, per poi ritrarsi. In altre stanze contigue, deserte, galleggiano ed esplodono bolle di sapone piene di fumo. Ad un livello inferiore alcune lavoratrici, alimentano, raccolgono e selezionano le perle (rappresentando le tre fasi della produzione). Una lavoratrice si sottrae al regime di lavoro addormentandosi alla sua postazione; i piedi sono infilati in una bacinella piena di perle che comunica con lo spazio «altro» e ribaltato della prima stanza. La donna che starnutiva innaffia ora i piedi della lavoratrice, rigenerandone la forza lavoro.

La stessa dialettica tra l’integrazione (e sottomissione) ai meccanismi di produzione e consumo e l’affermazione di un’individualità più umana, più «femminile» e naturale, torna nel video Bowls Ball Souls Holes (Bingo) (2014) rappresentata ora dalla contrapposizione tra l’annunciatrice di numeri di una sala bingo di Harlem e l’imponente Raqui: se la prima scandisce controlla tutte le dinamiche del video la seconda si addormenta indifferente al contesto e si risveglia solo al solleticata dalla forma circolare della luna che si proietta sulla sua fronte e da gocce d’acqua che cadono dal soffitto. Non passino inosservati i significati simbolici associati all’acqua, alla luna e alle forme circolari. Mollette colorate e stagnole decorano i piedi dell’annunciatrice, mentre le unghie delle mani sono smaltate – altro tema ricorrente ad es. in Finger, 2018. Le mollette vanno infine ad alimentare un sistema di box comunicanti che le fa arrivare fino a una figura maschile, Gary “Stretch” Turner (l’uomo con la pelle più elastica al mondo), che le prende e se le applica sul viso. L’enfasi sui corpi e su particolari dettagli anatomici, l’interesse per gli atti riflessi e involontari, l’attenzione un po’ morbosa per i liquidi e i fluidi corporei, per ogni genere di effluvio, ci raccontano una marcata affinità con alcuni lavori di Paul McCarthy e Mike Kelley.
Infine Cosmic Generator (2017) introduce nuove riflessioni sugli aspetti nefasti del capitalismo: è l’idea di un tunnel sotterraneo sotto il confine tra Messico e Stati Uniti, sotto il muro innalzato o potenziato da Trump, che ha sbocco in un enorme magazzino cinese, pieno fino all’inverosimile di prodotti di ogni tipo, regno della plastica e dei colori tossici, dove alle svogliate commesse rimane solo il sonno come modo per sottrarsi al sistema. A chi cerca di accedere nel mondo capitalistico per sfuggire alla fame, questo mondo si mostra subito nei suoi aspetti più veri e alienanti.

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Nata a Buenos Aires nel 1976 Mika Rottenberg ha frequentato l’Hamidrasha – Beit Berl College of Arts ed ha conseguito il BFA alla School of Visual Arts di New York (2000) e il MFA alla Columbia University di New York (2004). Tra le mostre personali più importanti si ricordano Easypieces al New Museum di New York (2019), le personali al MAMbo di Bologna (2018), al Goldsmiths Centre for Contemporary Art di Londra (2018), alla Kunsthaus Bregenz (2018), al The Bass Museum of Art di Miami (2017), al Palais de Tokyo di Parigi (2016) e alla Jupiter Artland Foundation di Edinburgo (2015), Mika Rottenberg: Bowls Balls Souls Holes al Rose Art Museum – Brandeix University di Waltham (2014), Squeeze: Video Works by Mika Rottenberg al The Israel Museum di Jerusalem (2013), Sneeze to Squeeze al Magasin 3 di Stoccolma (2013), How Women Work al Nottingham Contemporary (2012), Mary’s Cherries al FRAC Languedoc Roussillon di Montpellier (2012), Cheese, Squeeze & Tropical Breeze al MVA – Museum Leuven di Louvin (2011), Dough, Cheese, Squeeze and Tropical Breeze al De Appel Art Centre di Amsterdam (2011) e alla Bonniers Konsthall di Stoccolma, le moostre al San Francisco Museum of Modern Art (2010) e alla La Maison Rouge di Parigi (2009), Dough al KW Institute for Contemporary Art di Berlino (2006), Mary’s Cherries al P.S.1 Contemporary Art Center di New York (2004). È rappresentato dalla Andrea Rosen Gallery di New York, dalla Hauser & Wirth di Londra e dalla Galerie Laurent Godin di Parigi.
Riferimenti bibliografici
Guendalina Piselli, Le variazioni della realtà di Mika Rottenberg al Mambo, in “Atpdiary”, 7 febbraio 2019, http://atpdiary.com/mika-rottenbergl-mambo-bo/
Nicolas Bourriaud, Mika Rottenberg. Le réel et le travail, in “Art Press” #435 (luglio/agosto 2016)
Germano Celant, Le macchine nubili di Mika Rottenberg, in Lorenzo Balbi [a cura di], Mika Rottenberg, Istituzione Bologna Musei | MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna, Bologna 2019
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