Nato a Châtillon-sur-Seine, Francia, nel 1949
Vive e lavora a Parigi
Il lavoro di Bertrand Lavier si concentra da sempre sulla relazione tra scultura e pittura e sul rapporto tra presentazione e rappresentazione. Con le “demonstrations” l’artista riesce a portare lo spettatore verso territori che mettono in discussione le certezze relative alla visione e alle abitudini percettive, il tutto con estrema leggerezza e ironia (Michel Gauthier lo definisce “un felice postmoderno”), senza allontanarsi da una certa bellezza della forma e dei colori e senza mai far venir meno la consapevolezza di operare all’interno di un tradizione artistica consolidata. Ricoprendo oggetti di uso quotidiano con colori identici a quelli dell’originale ma stesi a colpi di spatola, a ricordare lo stile di Van Gogh, Lavier di fatto occulta l’oggetto reale e ne offre una sua rappresentazione pittorico/plastica, proprio nel momento in cui l’oggetto scompare sotto i suoi colori (Canon, 1981; Steinway & Sons, 1987). Combinando insieme, anche solo attraverso la semplice sovrapposizione, due oggetti quotidiani in associazioni folli che ricordano la celebre immagine di Lautréamont, «l’incontro fortuito sopra un tavolo d’anatomia fra una macchina per cucire e un ombrello» (Paulin/Planokind, 1992; La Bocca/Bosch, 2005), ironizza sulle forme del modernismo, sia quelle “artistiche” che quelle della produzione industriale. Mettendo oggetti banali su piedistalli solitamente usati per l’esposizione di reperti etnografici (Taliaplast, 2002; Nikki, 2015), oltre a confermare la sua continua attenzione al concetto di piedistallo/supporto/base – sulla scia di Brancusi – manda in cortocircuito il concetto stesso di raccolta etnografica: quello che viene raccolto ed è considerato di interesse museale era davvero tale anche per la cultura che lo aveva prodotto?
I suoi oggetti sovrapposti, assemblati, dipinti o rielaborati in materiali diversi mettono in discussione la civiltà del consumismo in cui la produzione di massa è diventata naturale e banale nella sua standardizzazione di processi e di forme prodotte.

I riferimenti alla storia dell’arte sono onnipresenti: in Giulietta (1993) la macchina incidentata rimanda alle “compressioni” di César, al Manifesto del Futurismo di Marinetti, a Mépris di Jean-Luc Godard e all’arte di Duchamp (la serie si chiama “ready destroyed”), oltre a legarsi a un fatto personale accaduto a Lavier e a alla propria passione per le automobili. La distruzione prende il posto della pittura e della rielaborazione ironica ma parte dagli stessi presupposti. Al pari l’attenzione per la bellezza formale è massima.

Infine questi presupposti si declinano nella serie “Walt Disney Productions”, cominciata anche questa nel lontano 1984 ed ispirata a una storia di Topolino nella quale il famoso topo visita un museo di arte moderna: le opere riprodotte, disegnate allora dal fumettista, sono dipinti astratti e sculture biomorfe che ricordano ad esempio quelle di Jean Arp. Lavier si appropria di queste opere esposte nel museo immaginario disneiano e le copia ingrandendole per realizzare vere sculture e quadri astratti. L’arte diventa fenomeno pop e si carica di umorismo e torna poi ad essere arte; la scultura si fa illustrazione e torna ad essere scultura e pittura.

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Nato a Châtillon-sur-Seine nel 1949, Bertrand Lavier ha frequentato École nationale supérieure d’horticulture de Versailles e nel 1971 ha lavorato come paesaggista nello sviluppo della nuova città di Marne-la-Vallée. Tra le mostre personali si ricordano Medley all’Espace Louis Vuitton di Tokyo (2018), Oeuvres in situ / Anémochories al Palais de Tokyo di Parigi (2016), Bertrand Lavier. Depuis 1969 al Centre Pompidou (2012), Correspondances. Bertrand Lavier/ Edouard Manet al Musée d’Orsay (2008), Contrepoint 2, de l’objet d’art à la sculpture al Musée du Louvre (2005), Lavier in Prato al Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci di Prato (2004), Walt Disney Productions 1947-1999 al Museum of Contemporary Art di San Diego (1999), e le mostre al Museo d’Arte Contemporanea – Castello di Rivoli (1996), al Museum Moderner Kunst Stiftung Ludwig di Vienna (1992), al Centre Georges Pompidou (1991), al Musée d’Art moderne de la Ville de Paris (1985 e 2002). Ha partecipato alla Biennale d’art contemporain de Lyon (2000, 2003, 2011), alle biennali di Sydney (1982 e 1986), alla XVIIIa Bienal de São Paulo (1985) e alle 38a e 47a Biennali d’arte di Venezia (1976 e 1997). Le Gallerie di riferimento sono Massimo de Carlo di Milano, Kamel Mennour di Parigi e Xavier Hufkens di Bruxelles.
Riferimenti bibliografici
Greta Travagliati, I cantieri concettuali di Bertrand Lavier. A Parigi, in “Artribune”, 18 ottobre 2012
Vanessa Morisset, Bertrand Lavier. Depuis 1969 in “Centre Pompidou”, settembre 2012,
http://mediation.centrepompidou.fr/education/ressources/ENS-Lavier/
So many questions: Bertrand Lavier, Centre Pompidou, Paris, in “Art Live Magazine”, 2012
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