Nato a Dugny (Seine-Saint-Denis), Francia, nel 1970
Vive e lavora a Berlino
Ambiziosa e intelligente, l’arte di Kader Attia riflette sulla condizione esistenziale dell’uomo contemporaneo, mostrandoci, attraverso una vasta sperimentazione multimediale, la dialettica irrisolta tra presenza e assenza, apparenza e sostanza, illusione e realtà, imposizioni della società e esigenze dell’individuo. In questo l’indagine storica e antropologica e la riflessione sui molti temi dell’architettura rivestono un ruolo centrale e sono ricorrenti in molti suoi lavori. Nato e cresciuto nella banlieue parigina, figlio di immigrati algerini, è naturalmente interessato al rapporto tra Occidente e Medio Oriente e ai temi del colonialismo, della decolonizzazione e della riparazione.
Ghost (2007), che rimane una delle sue opere più celebri, è una grande installazione dove un gruppo di donne musulmane in preghiera è reso attraverso delle cappe vuote modellate con fogli carta stagnola: i corpi femminili si sono ridotti a gusci vuoti e fragili che, seppur privi di umanità e di spirito, sono una presenza ingombrante, sospesa tra l’immagine futuristica e seducente e l’archetipo.
Holy Land (Middelkerke, Belgio, 2006), con le sue stele fatte a forma di scafo di nave e le superfici a specchio, è opera attualissima che riflette sul tema della migrazione e allude all’Occidente come terra promessa per milioni di migranti i quali però, nel viaggio per raggiungerla, possono anche incontrare la morte.

Un alimento caratteristico del Maghreb come il cous-cous è protagonista di diversi lavori tra i quali Untitled (Ghardaïa) (2009), dove ci ricorda anche i viaggi e i progetti storici di Le Corbusier per Algeri.
Il gusto per la lacerazione e per la deformità, per tutto quello che in sintesi altera l’unità e la compiutezza formale dell’essere, per l’accidente oltre che per la sostanza, sono i campi d’indagine della produzione recente di Attia che raccoglie frammenti, cataloga campionari di aberrazioni e mostruosità – esempio della disgregazione della società moderna – e cerca di ricomporre i pezzi in una narrazione di senso compiuto. In contraddizione con la nozione occidentale del bello e con l’idea dogmatica di ripristino (restauro artistico o intervento di chirurgia estetica) l’artista mostra apertamente il processo che permette il montaggio di diversi elementi. Come Victor Frankenstein ricuce frammenti di carne, così nella serie Repair Analysis (2013-15) l’artista lavora con specchi infranti e poi ricuciti con filo di rame, posti in dialogo con tavole anatomiche ottocentesche dell’illustratore francese Nicolas Henri Jacob: se la “creatura”, esempio del sublime e del diverso, causava terrore, così gli specchi in cui il visitatore viene riflesso, muovono inquietudini, risvegliano angosce.
Soldat Blessé, masque malade (Pende) (2013), attraverso un interessante parallelo con la scultura tradizionale africana, tratta il tema delle orribili ferite facciali subite dai soldati durante la Prima guerra mondiale, che sono tutt’oggi tra le immagini più scioccanti e destabilizzanti mai scattate. Il soggetto si sviluppa compiutamente nella serie “Another Nature Repaired” (2014), intagli lignei che guardano direttamente alle sculture dell’Espressionismo tedesco.

Installation view “But a Storm Is Blowing from Paradise: Contemporary Art of the Middle East and North Africa”, April 29, 2016 – October 5, 2016; Solomon R. Guggenheim Museum, New York .
© Kader Attia. Solomon R. Guggenheim Museum, New York, Guggenheim UBS MAP Purchase Fund, 2015
Agire sulla percezione dello spettatore porta l’artista a lavorare in una dimensione ambientale e alcune installazioni sono impressionanti: in Noise, silence (2017) le pareti delle sale espositive sono imbottite come divani in pelle, ma numerosi – e pericolosi – aculei ricordano le «vergini di Norimberga». Il video Réfléchir la Mémoire, con il quale l’artista ha vinto il Prix Marcel Duchamp nel 2016, tratta del tema della memoria storica attraverso la metafora della sindrome dell’arto fantasma.
Ancora fortemente politico e attuale è infine Intifada: The Endless Rhizomes of Revolution (2016), nel quale le pietre e le fionde che si distinguono sulle strutture ramificate simili ad alberi di metallo, ricordano la lotta dei Palestinesi ma alludono anche a ogni sorta di rivoluzione e a ogni forma di colonialismo. Centrale nella filosofia di Gilles Deleuze e Félix Guattari, il concetto di «rizoma» rimanda una struttura reticolare e diffusiva che contrasta con i principi di verticalità e gerarchia – ai quali Deleuze & Guattari attribuiscono intrinseca valenza politica e repressiva.

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Nato nei sobborghi parigini di Seine-Saint-Denis da famiglia algerina, Kader Attia ha trascorso l’infanzia tra la Francia e l’Algeria. Ha frequentato l’Ecole Supérieure des Arts Appliqués “Duperré” di Parigi (1991-93), l’Escola de Artes Applicades “La Massana” di Barcellona (1993-94) e l’Ecole Nationale Supérieure des Arts Décoratifs di Parigi (1996-98). Tra le più importanti mostre personali si ricordano: Kader Attia al Berkeley Art Museum and Pacific Film Archive di Berkeley (2019), Kader Attia a Le BAL di Parigi (2019), Kader Attia. Premio Joan Miró alla Fundació Joan Miró di Barcellona (2018), Kader Attia al Culturgest Fundação Caixa Geral de Depòsitos di Lisbona (2018), Les racines poussent aussi dans le béton al MAC VAL – Musée d’art contemporain de Val-de-Marne (2018), Kader Attia all’Australian Centre for Comtemporary Art di Melbourne (2017), Kader Attia. Architektur der Erinnerung al Museum Mudwig Koblenz (2017), Repairing The Invisible allo SMAK di Gent (2017), Kader Attia al MCA di Sydney (2017), Sacrifice and Harmony all’MMK Museum für Moderne Kunst di Francoforte (2016),The Injuries are here al Musée Cantonal des Beaux Arts de Lausanne (2015), Continuum of Repair: The Light of Jacob’s Ladder al Palais des Beaux-Arts di Bruxelles (2014), Contre Nature al Beirut Art Center (2014), Continuun of Repair: The Light of Jacob’s Ladder alla Whitechapel Gallery di Londra (2013), REPAIR. 5 ACTS al Kunst Werke Museum di Berlino (2013), Construire, Déconstruire, Reconstruire: Le Corps Utopique al Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris (2012), Signs of Reappropriation al The Savannah College of Art and Design di Atlanta (2008 e 2009), Momentum 9 all’ICA di Boston (2007), Square Dreams al BALTIC Center for Contemporary Art di Newcastle (2007), Kader Attia al Musée d’Art Contemporain de Lyon (2006), Tsunami al Magasin – CNAC di Grenoble (2006), La Piste d’Atterrissage all’Atelier – Centre National de la Photographie di Parigi (2000), Humanistes au Congo al Centre culturel Français de Brazzaville (1996). Inoltre ha partecipato alla 50a e alla 57a Biennale d’Arte di Venezia (2003 e 2017), alle 8e e 13e Biennale de Lyon (2005, 2015), alla 10a Bienal de La Habana Biennale (2009), alla 4a Biennale di Mosca (2011), alla Documenta 13 a Kassel (2012), a Dak’Art 2014 e a Manifesta 12 a Palermo (2018). Ha vinto, tra gli altri, il Premio Marchel Duchamp nel 2016 e il Premio Joan Mirò nel 2017. È rappresentato dalla Galleria Continua di San Gimignano, dalla Galerie Nagel Draxler di Berlino, dalla Lehmann Maupin Gallery di New York e dalla Galerie Krinzinger di Vienna. Sito dell’artista: http://kaderattia.de/
Riferimenti bibliografici
Manthia Diawara, All the Difference in the World, in “Artforum”, febbraio 2014.
Loic Le Gall, Kader Attia, in 57. Esposizione Internazionale d’Arte. Viva Arte Viva, Ed. La Biennale di Venezia, Venezia 2017.
Laura Cumming, Kader Attia: Continuum of Repair – The Light of Jacob’s Ladder, in “The Observer”, 15 dicembre 2013.
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