Nato a Scutari, Albania, nel 1969
Vive e lavora a Milano
«Non si può discendere due volte nel medesimo fiume e non si può toccare due volte una sostanza mortale nel medesimo stato, ma a causa dell’impetuosità e della velocità del mutamento essa si disperde e si raccoglie, viene e va». Il più celebre frammento attribuito a Eraclito ci indirizza giustamente nella lettura dell’opera di Adrian Paci a partire dal lavoro Di queste luci si servirà la notte (2017). L’azione performativa vede protagonista un’imbarcazione che in piena notte attraversa l’Arno presso Ponte Vecchio, trascinando fasci di filamenti luminosi che richiarano il nero delle acque; la barca così apparecchiata è allusiva allo spostamento di persone, al movimento di idee, all’incessabile conversione di energie. È il conflitto tra superficie e profondità, luce e buio, del quale l’artista-uomo è promotore e motore.
Tutta l’opera di Paci nel complesso si configura come una riflessione attorno ai temi della migrazione, dell’identità e del divenire, indagati con intensità e poesia. L’esperienza personale è sempre attraversata, superata, sublimata e richiama fatti e fenomeni della storia recente, a partire dall’attualissimo tema dello spostamento dei popoli e dell’immigrazione. La mobilità è condizione ontologica dell’uomo ma si pone in rapporto dialettico complesso con i temi di identità, di comunità e di luogo: se l’esistenza viene interpretata come ricerca continua e movimento perenne, memoria e distacco agiscono nel ridefinire l’identità dell’individuo e di un popolo. Paci padroneggia molte tecniche, forte anche di una formazione tradizionale, ma sono il video, la performace e l’istallazione i suoi media di elezione.
Il video Albanian Stories (1997) registra la figlia Jola mentre racconta delle storie alle sue bambole, storie in cui si mescolano cronache di guerra, fantasie infantili e vicende fiabesche.
In Home to go (2001) il tema del vagare è al centro della serie di fotografie (video e istallazione) in cui l’artista si ritrae seminudo, come un moderno Atlante costretto a portare sulle spalle il tetto rovesciato di una casa. Tradizioni e rituali familiari e religiosi della sua terra sono riscoperti come segno di identità in lavori quali il video Vajtojca (2002), le foto della serie Cappella/chapel (2004) e le gouaches The Wedding, (2001, 2003 e 2008). La relazione con il luogo e il tempo d’origine è costitutiva della persona e, attraverso il suo lavoro, Paci ci fa riflettere su cosa significa appartenere ad un contesto e su come questo interagisca col nostro io.
Adrian Paci, Home to go, 2001, 9 color photographs, 103 × 103 cm, framed, each. Courtesy the artist and Galerie Peter Kilchmann, Zürich
La figura di Pier Paolo Pasolini e i suoi film più famosi sono ispirazione per cicli di lavori figurativi a tempera su ceramica, carta o legno: Secondo Pasolini (Decameron) (2006), Vangelo secondo Pasolini (2007), Canterbury (2008), Fiore delle mille e una notte (2008).
Centro di permanenza temporanea (2007) e The line (2007) prendono la forma di alcune serie di fotografie e video che tornano a riflettere sul tema dei migranti e dei profughi. Vediamo un gruppo di uomini in marcia verso un aereo inesistente pronto a decollare e si allude al viaggio negato: siamo all’aeroporto di San José in California e Paci si ispira ai gruppi di immigrati che da qui venivano rimpatriati in Messico.

L’artista torna protagonista in una semplice quanto efficace performance relazionale: in The Encounter (2011) il gesto antico e simbolico della stretta di mano coinvolge tutta una comunità, quella di Scicli in Sicilia, che si riscopre e si ritrova. Il video Rasha (2017) è il ritratto di una donna palestinese, Rasha Miech, fuggita dalla guerra in Siria e arrivata in Italia: l’aspetto della donna e il linguaggio del corpo raccontano la storia meglio di ogni parola e di ogni retorica e il caso particolare diventa “exemplum” della ricerca di salvezza delle donne che soffrono in tutto il mondo.

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Nato a Scutari nel 1969, Adrian Paci ha studiato pittura presso l’Accademia di Belle Arti di Tirana. Nel 1997 Paci lascia l’Albania e si trasferisce a Milano. Ha esposto con mostre personali in numerosi istituzioni internazionali tra cui la National Gallery of Art di Tirana (2019), il Salzburger Kunstverein (2019), la Kunsthalle Krems (2019), il Museo Novecento di Firenze (2017), il Museo MAXXI di Roma (2015), il MAC, Musée d’Art Contemporain di Montréal (2014), il PAC – Padiglione d’Arte Contemporanea di Milano (2014), il Jeu de Paume a Parigi (2013), il Mamco – Musée d’art moderne et contemporain di Ginevra (2013), la Kunsthaus di Zurigo (2010), il Bloomberg Space di Londra (2010), il Center for Contemporary Art di Tel Aviv (2009), il MoMA PS1 di New York (2006), il Moderna Museet di Stoccolma (2005). Tra le numerose mostre collettive si ricordano la Biennale de Lione (2009), la 15a Biennale di Sydney (2006), la 48a e la 51a Biennale d’arte di Venezia (1999 e 2005), le collettive alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino e alla Galleria Civica d’Arte Contemporanea di Trento nel 2002. È rappresentato dalle gallerie Kaufmann Repetto di Milano e Peter Kilchmann di Zurigo.
Riferimenti bibliografici
Max Mutarelli, Adrian Paci al PAC. Raccontando sogni di mare, in ” “Artribune”, 6 dicembre 2013, https://www.artribune.com/report/2013/12/adrian-paci-al-pac-raccontando-sogni-di-mare/
Alessandro Galletta, Adrian Paci. Vite in transito, in “FlashArt” 312 (Ottobre – Novembre 2013) http://www.flashartonline.it/article/adrian-paci/
Giulia Deval, Adrian Paci. Altrove umano geografico, in “Spazio-Concept.it”, http://spazio-concept.it/adrian-paci-altrove-umano-geografico/
Angela Maderna, Adrian Paci, in “Zero” https://zero.eu/persone/adrian-paci/
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