Nato a Quanzhou, Cina, nel 1957
Vive e lavora a New York
La polvere da sparo non fu creata per scopi militare ma sembra che venne scoperta e perfezionata da medici taoisti nel tentativo di creare un elisir di lunga vita. Presto l’effetto portentoso di questa miscela di salnitro, zolfo e carbone, gli scoppi e la luce che creava, diventarono parte di cerimonie divinatorie e rituali per scacciare gli spiriti maligni. Più o meno nel XII secolo iniziarono gli esperimenti in campo militare.
Cai Guo-Qiang è universalmente conosciuto per la sua arte fatta esplorando le potenzialità e gli effetti della polvere da sparo, dalle suggestioni cromatiche delle combustioni su tela o carta giapponese washi alla realizzazione di veri e propri eventi pirotecnici, sperimentando anche, ma con meno frequenza, altri mezzi artistici quali l’installazione, il video e la performance. Il lavoro di Cai Guo-Qiang si fonda su storie, tradizioni e filosofie orientali – Buddismo, Taoismo, I-Ching, Feng Shui – pur aprendosi ad altre suggestioni – anche alla tradizione artistica occidentale, El Greco e Caravaggio su tutti – e al pensiero contemporaneo. Centrale è la relazione dialettica tra spontaneità e controllo: l’esplosione, di per sé una liberazione incontrollata di energia, è sempre sapientemente pianificata e preparata, trasformando ogni operazione dell’artista in una sorta di liturgia. L’esplosione da anche dimensione visiva a qualcosa di invisibile, ossia il flusso di energie che permea l’universo. Così avviene che il tempo entra nel lavoro artistico, sia nelle opere su carta che nelle performance di fuochi d’artificio. L’interesse verso la storia e il confronto tra le culture è da sempre ricorrente. In Bringing to Venice What Marco Polo Forgot (Biennale di Venezia, 1995) Cai Gu-Qiang fece navigare una giunca carica di droghe ed erbe medicinali della tradizione cinese lungo Canal Grande per poi ormeggiare davanti palazzo Giustiniani, dove i visitatori potevano salire a bordo e provare i vari tonici.
La combustione delle polveri piriche su carte può dare vita a una infinità di forme e colori, che possono rimanere astratte rappresentazioni di fenomeni energetici (es. Penglai / Hōrai – 8, 2015) o assumere forme biologiche (Flower soul, 2018), o ancora diventare vere e proprie raffigurazioni dei soggetti più diversi (es. Homeland, 2013).

L’energia delle deflagrazioni lascia così il posto a scenari di tranquillità e poesia: in Endless (2011), velieri arabi e giunche cinesi si raccolgono in una piscina in cui le onde e la nebbia vengono ricreate artificialmente. È appunto ricorrente negli ultimi anni l’impiego dell’acqua, anche ad affiancarsi agli aspetti più tradizionali del suo lavoro, bilanciando, come lo Yang con Yin, la quiete e la tempesta, la stasi e il movimento. Pannelli dipinti si riflettono in un placido specchio d’acqua anche nel gigantesco Unmanned Nature (2008) che riesce a evocare una dimensione di calma e serenità attraverso un paesaggio classico ispirato a quelli del maestro cinese Huang Gongwan (1269-1354) ma realizzato con le solite esplosioni di polvere pirica su fogli di carta giapponese: il tema è quello del rapporto tra l’uomo e la natura, le responsabilità dei singoli e le forze del cosmo, con l’obiettivo di esorcizzare la paura della guerra e del caos e, su tutto, la minaccia nucleare. Black Fireworks. Project for Hiroshima (2008) è il fuoco d’artificio che per forma e colore ha ricordato il fungo atomico dell’esplosione di Hiroshima: l’artista ha realizzato questa performance presso l’Atomic Bomb Dome della cittadina giapponese dove fu lanciato il primo ordigno nucleare. Color Mushroom Cloud (2017) è la coloratissima esplosione a forma di fungo, che invece ricorda gli aspetti positivi dello sfruttamento dell’energia dell’atomo, andata in scena al CP-1 Site dell’Università di Chicago per ricordare i 75 anni dalla prima reazione nucleare controllata. City of Flowers (18 novembre 2018) è l’esplosione di fuochi di artificio realizzata a Piazzale Michelangelo, sopra il cielo di Firenze, e ispirata ai fiori coltivati nel Rinascimento, e a tutta la bellezza riscoperta in quell’eccezionale periodo della storia e dell’arte.

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Nato a Quanzhou nel 1957, Cai Guo-Qiang ha studiato scenografia presso l’Accademia teatrale di Shanghai; trasferitosi in Giappone nel 1986, ha frequantato l’Università di Tsukuba e ha cominciato a impiegare la polvere da sparo nei suoi lavori. Tra le personali più importanti degli ultimi anni si ricordano In the Volcano: Cai Guo-Qiang and Pompei al Museo Archeologico Nazionale di Napoli (2019), Cai Guo-Qiang: The Transient Landscape alla National Gallery of Victoria di Melbourne (2019), Cuyahoga River Lightning al Cleveland Museum of Art (2019), Cai Guo-Qiang: Gunpowder Art allo Ashmolean Museum di Oxford (2019), Cai Guo-Qiang – Flora Commedia agli Uffizi di Firenze (2018), Cai Guo-Qiang: My Stories of Painting al Bonnefantenmuseum di Maastricht (2016), There and Back Again dello Yokohama Museum of Art (2015), Moving Ghost Town allo Aspen Art Museum (2014), Sky Ladder al MOCA – Museum of Contemporary Art di Los Angeles (2012), Fallen Blossoms al Philadelphia Museum of Art (2009), Cai Guo-Qiang: I Want to Believe al Guggenheim Bilbao (2009). Cai Guo-Qiang è stato insignito del Leone d’oro alla 48a Biennale di Venezia (1999) e ha conseguito, tra gli altri, il Bonnefanten Award for Contemporary Art (2016). Nel 2012, è stato premiato con il prestigioso Praemium Imperiale. È stato anche direttore degli effetti speciali e visivi per le cerimonie di apertura e chiusura delle Olimpiadi del 2008 a Pechino. Gallerie di riferimento sono la Galleria Continua di San Gimignano e l’Art Front Gallery di Tokyo. Sito dell’artista: caiguoqiang.com.
Riferimenti bibliografici
Ludovica Capobianco, L’invisibile nel visibile. Intervista a Cai Guo-Qiang, in “Artribune”, 19 novembre 2018, https://www.arteonline.biz/linvisibile-nel-visibile-intervista-a-cai-guo-qiang-2/
Francesca Tarocco, Firing Paper. Reading Cai Guo-Qiang’s Unmanned Nature, The Whitworth, Manchester 2015
Arthur Lubow, The Pyrotechnic Imagination, in “The New York Times Magazine”, 17 febbraio 2008, https://www.nytimes.com/2008/02/17/magazine/17Fireworks-t.html
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