Nata a Città del Guatemala nel 1974
Vive e lavora a Città del Guatemala
L’artista sudamericana Regina José Galindo si pone secondo molti punti di vista sul filone tracciato da Ana Mendieta e Marina Abramovič, riprendendo, soprattutto dalla prima, l’intento di denuncia contro il potere, le ingiustizie sociali e la violenza. Punto di partenza è la realtà instabile e oppressiva del suo paese, il Guatemala, che diventa, sublimata nel linguaggio dell’arte, esemplare di una condizione universale. L’artista usa il proprio corpo, esile e indifeso, in performance semplici e toccanti in grado si suggestionare lo spettatore e risvegliare sdegno e nuova consapevolezza. Il suo corpo è protagonista di azioni e violazioni, soggetto e oggetto allo stesso tempo; incarna, rappresentandolo simbolicamente, l’intero genere umano e si carica dei segni e delle ferite inferte sui singoli dalle molteplici dinamiche coercitive.
Le performance dell’artista escono dagli spazi museali per scendere nelle strade e in genere nei luoghi pubblici, abbattendo ogni residua barriera tra arte e vita. In El dolor en un pañuelo (1999), l’artista tratta il tema della violenza sulle donne, facendosi proiettare sul corpo nudo le pagine di quotidiani con le cronache di abusi sessuali. Lo voy a gritar al viento (1999) vede Regina appesa in una rete sotto l’arco del palazzo delle poste di Città del Guatemala mentre legge poesie scritte su fogli di carta che lascia poi cadere. Nella performance ¿Quién puede borrar las huellas? (2003) attraversa la sua città a piedi nudi, dalla Corte Costituzionale fino al Palazzo Nazionale del Guatemala, lasciando dietro di sé una serie di orme insanguinate: è un atto di denuncia contro la ricandidatura del generale ed ex dittatore Efraín Ríos Montt alla presidenza e un ricordo delle vittime del conflitto armato che ha sconvolto il paese. In Himenoplastia (2004) viene filmata la ricostruzione del suo imene, sempre come riflessione sulla condizione delle donne. Nel 2007 mette in scena Cepo imprigionandosi al muro che costeggia l’adiacente carcere Regina Coeli di Roma, per creare un parallelismo con la condizione dei detenuti al di là del muro.
Il suo corpo nudo e indifeso ritorna chiuso in un sacco di plastica e gettato in una discarica (No perdemos nada con nacer, 2000), disteso sugli scogli (Isla, 2006), imprigionato in una rete (Carnada, 2006), martoriato da un getto d’acqua fredda di un idrante (Limpieza social, 2006), chiuso in un bozzolo mentre un uomo e una donna le orinano sopra (Piedra, 2013), carponi tra le pecore di un gregge (La oveja negra, 2014). Un corpo inerme, pronto a subire qualsiasi violenza, ma comunque resiliente e profondamente vivo.
A Documenta 14 Regina José Galindo ha presentato The Objective (2017) nella quale si poneva come bersaglio sotto il possibile fuoco ravvicinato di quattro fucili d’assalto Heckler und Koch G36: Kassel è uno dei principali centri tedeschi di produzione di armi, quasi totalmente destinate all’esportazione verso i paesi del terzo mondo e verso molti stati retti da dittature militari, e nel 2014 fucili di quel modello sono stati utilizzati dalle forze armate messicane nell’assurdo raid che ha portato alla morte di 43 studenti che protestavano contro il governo. L’impegno diretto e sofferto dell’artista talvolta si accompagna ad un coinvolgimento diretto del pubblico, che così non solo è toccato dalla visione di scene forti e difficilmente dimenticabili ma partecipa, protagonista consapevole, allo svolgimento delle performance.
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Regina José Galindo è nata nel 1974 a Città del Guatemala. Tra le mostre personali recenti si segnalano Regina José Galindo. Secreto de Estado Mechanismen der Gewalt al Frankfurter Kunstverein (2016), Estoy Viva al PAC di Milano (2014), Regina José Galindo al Nuevo Museo de Arte Contemporáneo de Guatemala (2013). Urgent Issues al MNAC di Bucarest (2010), The Body of others al Modern Art Oxford (2009), Juegos de Poder. Corpos Estranhos al MAC USP di San Paolo (2009), Breaking the Ice. Act II allo Oslo Kunstforeining (2008), Reconocimiento de un cuerpo al CCE di Córdoba, Argentina (2008), Naked Reality al Museum voor Moderne Kunst di Arnhem (2008), Cepo allo Spazio Volume di Roma (2007). Ha partecipato a Documenta 14 a Kassel (2017), alla 29a e 30a Biennale di arte grafica di Lubiana (2011 e 2013) e alle 49a, 51a, 53a, 54a e 55a Biennali d’Arte di Venezia (2001, 2005, 2009, 2011, 2013). Ha ricevuto il Prince Claus Award (2011) e il premio speciale alla 29a Biennale di Lubiana (2011). Ha vinto il Leone d’Oro alla 51a Biennale di Venezia (2005) nella categoria “Under 35”. Galleria di Riferimento è la Prometeo Gallery di Milano.
Riferimenti bibliografici
Laura Migliano, La regina del PAC – Estoy Viva, prima antologica italiana di Regina José Galindo, in “D’ARS”, 217 (primavera 2014), pp. 6-9
Travis Jeppesen, Regina José Galindo at Frankfurter Kunstverein, in “Art in America”, 21 aprile 2016, https://www.artinamericamagazine.com/reviews/regina-jos-galindo/
Judith Waldmann, In conversation with Regina José Galindo: “I am not a vulnerable woman”, in “Contemporary and América Latina”, 9 marzo 2018, http://amlatina.contemporaryand.com/editorial/regina-jose-galindo/
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