Nato a Santiago del Cile nel 1956
Vive e lavora a New York
L’arte di Alfredo Jaar è da sempre mossa da intenti di denuncia politica e critica sociale, un’arte impegnata, mai fine a se stessa o condizionata da esigenze puramente estetiche o di mercato, un’arte che guarda al mondo e alle ingiustizie con l’intento di sensibilizzare lo spettatore e indurlo alla riflessione. Nato in Cile nel 1956 Jaar ha vissuto il colpo di stato di Pinochet e ha cercato di proporre un’arte concettuale e critica verso il regime, prima di lasciare il paese e recarsi a New York dove ha esercitato come architetto. Proprio la pratica operativa dell’architetto si ritrova nella capacità di leggere i contesti e il sostrato storico e di adattare il proprio lavoro agli spazi espositivi e ai luoghi pubblici che ospitano i suoi lavori, nell’attenzione all’allestimento e al dialogo tra le opere esposte. Centrali sono da sempre la riflessione sul ruolo dell’arte nella società, sull’impegno dell’artista nel generare cambiamenti nelle coscienze, sul linguaggio, le sue potenzialità e le sue distorsioni. Gli strumenti sono quelli dell’arte concettuale, il video, la fotografia, l’installazione. Ogni angolo del mondo ha le sue ingiustizie dimenticate e le sue dinamiche di violenza per lo più ignorate o addirittura nascoste.
Il video Opus 1981. Andante desasperato (1981) ci mostra l’artista che cerca di suonare un clarinetto senza riuscire a fare altro che emettere suoni cacofonici: anche se impedita dalla dittatura, la voce libera deve comunque cercare di esprimersi. Basta poco per fare politica attraverso l’estetica, in un approccio alla pratica artistica radicalmente sbilanciato verso quella che Luciano Anceschi definiva l’«eteronomia» dell’arte.
A Logo for America, esposta per la prima volta in Times Square nel 1987, ci mostra un pannello pubblicitario a led con le parole “This is not America” all’interno del profilo geopolitico degli Stati Uniti; con un’operazione semplice e memore de La Trahison des images di Magritte è denunciato l’erroneo uso del nome America riferito a una sola parte del continente e al contempo l’egemonia illegittima degli USA.

Rwanda Project: 1994–2000 è un’installazione di fotografie nate della esperienza in Ruanda cominciata nel 1994, quando era ancora in atto il genocidio che ha causato oltre un milione di morti. L’opera denuncia al tempo stesso la violenza e l’indifferenza dei media occidentali verso la strage; colpisce i sensi e le coscienze attraverso una carrellata di sguardi sofferenti, alternati a meravigliosi paesaggi naturali. La riflessione sull’emergenza umanitaria dell’Africa torna in Emergencia (1998), dove da una piscina, lentamente, emerge e riemerge la forma inconfondibile del continente nero. The Sound of Silence (2006) è un cubo all’interno del quale è possibile assistere a un video di 8 minuti che fa scorrere delle frasi che ripercorrono la storia del fotografo sudafricano Kevin Carter; Carter è l’autore della tristemente famosa foto di una bambina denutrita e prossima alla morte che arranca a quattro zampe seguita da un avvoltoio; pochi mesi dopo aver vinto il Pulitzer, Carter si è tolto la vita, schiacciato dalle accuse di aver preferito scattare una foto piuttosto che aiutare una bambina a sopravvivere. Al termine del video compare la foto preceduta da due potenti flash.

Venezia Venezia (2013) mostra la planimetria dei Giardini della Biennale che emerge e scompare ogni tre minuti da una vasca piena d’acqua, critica dell’impostazione anacronistica dei padiglioni nazionali. In Abbiamo amato tanto la rivoluzione (2013) si istaura il dialogo con la politica e l’arte degli anni Sessanta e Settanta, a partire dalle opere di Mario Merz.

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Nato a Santiago del Cile nel 1956, Alfredo Jaar è stato tra i primi artisti sudamericani ad affermarsi a livello internazionale. Tra le molte mostre tenute solo negli ultimi anni si ricordano Shadows al Nederlands Fotomuseum di Rotterdam (2019), A Logo for America al Clevenland Musem of Art (2017), The Politics of Images al Joaquim Nabuco Foundation di Recife (2016), Nous l’avons tant aimée, la revolution al Musée d’Art Contemporarain di Marsiglia (2015), 22 Women: An Installation by Alfredo Jaar allo SKMU Sørlandets Kunstmuseum di Kristiansand (2014), Tonight No Poetry Will Serve al Museum of Contemporary Art Kiasma di Helsinki (2014), Alfredo Jaar: Muxima al San Diego Museum of Art (2014), Alfredo Jaar allo High Museum of Art di Atlanta (2013), Abbiamo amato tanto la rivoluzione alla Fondazione Merz di Torino (2013), Alfredo Jaar: Cultura = Capital a Guimarães 2012, The Marx Lounge al Centro Andaluz de Arte Contemporaneo di Siviglia e allo Stedelijk Museum di Amsterdam (2011), The Ashes of Pasolini al Palazzo delle Belle Arti di Bruxelles (2011), Muxima al The Art Institute of Chicago (2011), Park of the Laments all’Indianapolis Museum of Art (2010), Politics of the Image alla South London Gallery (2008), It is Difficult allo Spazio Oberdan e all’Hangar Bicocca di Milano (2008). Ha partecipato alle 52a, 53a e 55a Biennali d’Arte di Venezia (2007, 2009 e 2013) e Documenta 8 a Kassel (1987). Gallerie di riferimento sono Lelong & Co. di New York e Parigi, Lia Rumma di Milano e Napoli, Luisa Strina di San Paolo. Sito dell’artista: alfredojaar.net.
Riferimenti Bibliografici
Faye Hirsch, A Post-Pavilion Biennale?: An Interview with Alfredo Jaar, in “Art in America Magazine”, 2 luglio 2013,
https://www.artinamericamagazine.com/news-features/interviews/a-post-pavilion-biennale-an-interview-with-alfredo-jaar/
Anne Barclay Morgan, Alfredo Jaar’s Recent Installations and Permanent Public Interventions, in “Sculpture Magazine”, dicembre 2010
Luigi Fassi, Alfredo Jaar. Back to the future #14, in “Klat Magazine”, 2 maggio 2013, https://www.klatmagazine.com/art/alfredo-jaar-interview-back-to-the-future-14/8027
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