Nata a Culiacán, Messico, nel 1963
Vive e lavora tra Città del Messico e Madrid

8.493: è il numero di omicidi perpetrati nei primi tre mesi del 2019 in Messico, un numero impressionante che fissa un nuovo primato per un paese dove la legalità e la sicurezza sono assenti da anni e dove molte aree sono segnate dalla lotta tra bande di narcotrafficanti e tra queste e quello che resta dello Stato. Questo è il Messico di Teresa Margolles, artista nata a Culiacán e che ha lavorato e lavora tra Città del Messico, la capitale, e Ciudad Juárez, la popolosa città al confine con gli Stati Uniti che è diventata simbolo di una violenza fuori controllo.

Margolles ha esercitato come medico legale per anni e tutta la sua arte appare oggi come una riflessione commovente e coinvolgente sulla violenza e sulla morte e su come queste sono in grado di sconvolgere la rete di rapporti umani. La denuncia, finalizzata a sensibilizzare il pubblico, ricorre ai potenti strumenti dell’arte: non è possibile rimanere indifferenti di fronte al lavoro dell’artista messicana come lo si rimane di fronte ai numeri, seppur impressionanti, o alle immagini, alle quali siamo tristemente sovraesposti e come anestetizzati. Osservare un suo lavoro, sedersi su una sua opera, entrare in uno spazio da lei predisposto è un’esperienza che lavora sul piano fisico e mentale, sensoriale ed emotivo, e che ci mette di fronte alla morte in modo inaspettatamente diretto e brutale. La sua arte è intrisa di tracce materiali di morte: l’acqua usata nei lavaggi dei cadaveri, il filo chirurgico impiegato per ricucire i corpi, teli sporchi di sangue e plasma umano, frammenti di parabrezza esplosi, pareti crivellate di proiettili, veri annunci di persone scomparse, articoli di fatti di cronaca nera; tutto quello che appartiene al mondo delle morgue e alle scene del delitto e che di regola è tenuto nascosto alla coscienza pubblica.

In Vaporizacion (2002-2018) Margolles chiude un ambiente e vi diffonde acqua vaporizzata, creando uno spazio saturo di nebbia: lo spettatore sente l’umidità sulla pelle, respira questo aerosol e scopre infine che  l’aria nella stanza è stata umidificata con acqua usata per pulire dei cadaveri non identificati prima dell’autopsia. Non c’è barriera, non c’e medium (nella sua accezione di «mezzo» e «intermediazione»): la morte ci tocca e si insinua diretta nello spettatore. Impossibile restare indifferenti, come è impossibile non sentire l’umidità che si attacca ai vestiti e bagna pelle e capelli. Simili le installazioni Aire (2003) e Sudor y Miedo (Manifesta, 2008), stanze vuote dove si sente soltanto il ronzio di un umidificatore alimentato con le solite acque provenienti dalle camere mortuarie messicane. L’artista lavora con i corpi e con ciò che di loro resta. Una presenza sottile ma palpabile che sconvolge in un contesto di apparente assenza.

In 36 cuerpos (2010) l’artista lega insieme altrettanti fili utilizzati nelle autopsie, in questo caso gli avanzi di quelli impiegati per ricucire corpi di vittime non identificate di Guadalajara. In Papeles (2003) intinge 92 fogli di carta da acquerello in fluidi corporei di cadaveri.

PM 2011 (2011), presentato alla 7a Biennale di Berlino, espone una carrellata di prime pagine del tabloid PM con le foto delle vittime della guerra tra i cartelli della droga, morte in scontri a fuoco, accoltellate, torturate nei modi più orribili, o scomparse – probabilmente la maggior parte di essi è stata sciolta in contenitori con acido. Queste immagini quotidiane sottolineano la «normalità» della violenza e della morte, enfatizzata dalle ricorrenti pubblicità erotiche che riempiono gli altri spazi di copertina.

In La Búsqueda (2014), presentata nella mostra “Ya basta hijos de puta” al PAC di Milano e a “May you live in interesting times” (58a Biennale d’Arte di Venezia, 2019), Margolles espone delle pensiline di Ciudad Juárez su cui sono stati affissi volantini di donne e bambine scomparse, una triste realtà in tutte le città del Messico; proprio Juárez è uno degli epicentri dell’ondata di femminicidi, spesso irrisolti, ai danni di operaie e studentesse; un rumore a basse frequenze fa vibrare i vetri e crea un’atmosfera ansiogena che pervade lo spettatore.

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Teresa Margolles, La búsqueda (The Search), 2014, sound installation, dimensions variable. Exhibition views: “Teresa Margolles. La búsqueda”, Migros Museum für Gegenwartskunst, Zurich, Switzerland, 2014. Photo Stefan Altenburger. Intervention with sound frequency on three glass panels transported from the historical centre of Ciudad Juárez, Mexico. The audio was recorded from the rail track of the train that divides the city, and transformed into low frequencies. Courtesy the artist and Galerie Peter Kilchmann, Zürich.

La serie fotografica Pista de baile (2016) ritrae le prostitute transgender in piedi sui resti di quelle che un tempo erano le piste da ballo dei locali notturni di Juárez, oggi demoliti. Anche più delle donne, i transessuali in America Latina sono vittime di violenza, odio, discriminazione.

Teresa Margolles, Pista de baile del nightclub “Irma’s” (Dance floor of the nightclub “Irma’s”), 2016, color print on cotton paper, 125 ×185 cm, framed. Transgender sex worker, Sansara, standing on the dance floor of a demolished club in Ciudad Juárez. Courtesy the artist and Galerie Peter Kilchmann, Zürich.

La Gran America (2017) è una parete di mille mattoncini quadrati, ognuno diverso dagli altri, realizzati secondo la tecnica tradizionale con il fango estratto dal Rio Grande. Ogni mattoncino rappresenta una vita spezzata e l’opera si configura nel suo complesso come un memoriale ​​dedicato ai migranti messicani senza nome che sono morti mentre tentavano di attraversare il confine con gli Stati Uniti.

Tutti questi temi ritornano in Muro Ciudad Juárez (2010), nel quale l’artista ha ricostruito un muro con dei blocchi in calcestruzzo provenienti da una scuola pubblica della città, teatro di un regolamento di conti tra bande di narcotrafficanti: il muro, che sormontato di filo spinato rimanda direttamente alla barriera fortemente voluta e propagandata da Donald Trump, porta ancora i segni delle pallottole e le tracce degli omicidi.

Teresa Margolles, Muro Ciudad Juárez, 2010, concrete blocks, dimensions variable. Installation view at 58a Venice Biennale. Photo Federico Gavazzi. Courtesy the artist and Galerie Peter Kilchmann, Zürich.

Nata a Culiacán in Messico nel 1963, Teresa Margolles si è diplomata in Scienze della comunicazione e Medicina forense alla Universidad Nacional Autónoma de México. Ha lavorato come medico legale a Città del Messico e negli anni Novanta ha fatto parte del collettivo di artisti SEMEFO (Servicio Médico Forense), di ispirazione death metal. Tra le principali mostre personali si ricordano quella alla Kunsthalle Krems (2019), La carne muerta nunca se abriga al Museo de la Solidaridad Salvador Allende di Santiago de Chile, Estorbo al MAMBO – Museo de Arte Moderno de Bogotá e al Nadie Nunca Nada No di Madrid (2019), Sutura al DAAD di Berlino (2018), A New Work by Teresa Margolles al Witte de With di Rotterdam (2018), Ya Basta hijos de puta al PAC – Padiglione d’Arte Contemporanea di Milano (2018), Sobre la sangre alla Tenuta dello Scompiglio di Lucca (2017), Mundos al Musée d’Art Contemporain di Montreal (2017), We Have a Common Thread al Neuberger Museum of Art di Purchase NY (2015), al Colby Museum of Art di Waterville (2016) e al El Paso Museum of Art (2017), Teresa Margolles. 45 cuerpos al Museo de la Ciudad de Queretaro (2016), La búsqueda al Migros Museum für Gegenwartskunst di Zurigo (2014), La Promesa al Museo Universitario de Arte Contemporáneo di Città del Messico (2012), A través… al Museo de Arte Moderno di Città del Messico (2011), Frontera alla Kunsthalle Fridericianum di Kassel (2010) e al Museion di Bolzano (2011), Teresa Margolles al Los Angeles County Museum of Art (2010), Herida, proyecto para Ecatepec alla Coleccion Jumex di Città del Messico (2007), 127 cuerpos al Kunstverein für die Rheinlande und Westfalen di Düsseldorf (2006), Involution al CAC – Centre d’Art Contemporain di Brétigny (2005), Muerte sin fin al Museum für Moderne Kunst di Francoforte (2004), Das Leichentuch alla Kunsthalle Wien (2003). Ha rappresentato il Messico alla 53a Biennale d’Arte di Venezia (2009) e ha partecipato a molte altre rassegne internazionali come la Bienal de São Paulo (2017), la 7a Biennale di Berlino (2011), Manifesta 7 (2008) e Manifesta 11 (2016). È tra gli artisti selezionati alla 58a Biennale d’Arte di Venezia. Margolles ha ricevuto numerosi premi tra i quali il Prince Claus Award 2012 e l’Artes Mundi 5 (2013). È rappresentata dalle gallerie Peter Kilchmann di Zurigo, James Cohan di New York, Mor Charpentier di Parigi.

Riferimenti bibliografici
Pascal Beausse, Teresa Margolles. Primordial Substances, in “Flash Art”, #243 (luglio-settembre 2005), pp. 106-109
Mercedes Auteri, Un urlo contro la violenza. Teresa Margolles a Milano, in “Artribune”, 6 aprile 2018, https://www.artribune.com/arti-visive/arte-contemporanea/2018/04/mostra-teresa-margolles-pac-milano/ Maria Chiara Wang, Aspettandola Biennale… 10 anni di Teresa Margolles, in “Dartema”, 15 aprile 2019, https://dartema.com/2019/04/15/aspettando-la-biennale-10-anni-di-teresa-margolles/


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