Nato a Città del Messico nel 1970
Vive e lavora a Bruxelles
Se l’oggetto è al centro della ricerca di moltissimi artisti contemporanei, nessuno come Gabriel Kuri esplora tutte le possibili implicazioni formali e concettuali della presentazione, assemblaggio e riproduzione di elementi del quotidiano. L’oggetto è il prodotto del sistema di produzione capitalistico, ne rappresenta l’espressione più tangibile, ma può essere anche strumento di produzione che, assieme alla manodopera, concorre ad alimentare questo stesso sistema. L’oggetto protegge, confeziona, trasporta, raccoglie, smaltisce altri oggetti, figurando, potenzialmente, tutti i momenti della nostra cultura consumistica: produzione, distribuzione, consumo e smaltimento. D’altro canto l’oggetto è presenza fisica concreta, è forma nello spazio, e attraverso il lavoro artistico su queste forme, tanto più se è solo combinazione delle stesse, si possono esplorare tutti i temi cari alla scultura in ogni epoca: il rapporto tra pesi e contrappesi, compressione e dilatazione, trasparenze e opacità, durezza e morbidezza, opera e supporto. Nello spazio la composizione non fa che sviluppare nella terza dimensione un motivo grafico fatto di linee e superfici, dal quale tutto muove. Infine l’oggetto è latore di emozioni personali, incarna esistenze, veicola messaggi poetici. Nelle parole di Kuri: «Quando vado in cerca di materiali, non lo faccio con il fine di trovare cose, ma in cerca di significati. Non è una ricerca di materiali ma una ricerca semantica». Il correlativo oggettivo rimanda qui a situazioni familiari, azioni quotidiane, interazioni umane e, ancora, rapporti di scambio e produzione, storia del consumo. La ricontestualizzazione e giustapposizione di questi materiali semplici genera nuove connessioni significato-significante tra le forme esistenti e tra esse e i loro usi. «Il linguaggio degli artisti è la forma» ci dice Kuri «Certo, l’efficacia delle forme è frutto di una negoziazione delicata che va in diverse direzioni: è una negoziazione tra forma e contenuto (che non sono due cose, ma due poli della stessa cosa), tra presente e aperture verso il futuro, tra familiarità e sorpresa, ma soprattutto tra ciò che l’oggetto artistico conosce di sé – oltre all’intenzione dell’artista – e ciò che lo spettatore intuisce, non nella prima singola fruizione, ma di volta in volta».
I materiali che ricorrono nelle sue installazioni sono oggetti quotidiani di varia natura ma scarso valore economico e nessun valore estetico, come lattine e sacchetti di plastica, cerini, cassonetti della spazzatura, monete, mozziconi di sigarette, preservativi, ricevute, volantini pubblicitari. A questi si affiancano materiali pesanti, come cemento, lastre di acciaio, alluminio, vetro, marmo o pietre per dar vista a installazioni fondamentalmente semplici e formalmente debitrici dell’estetica del minimalismo e dell’arte povera, ma sempre attente all’equilibrio e alla bellezza cromatica.
Presentata per la prima volta alla South London Gallery, Shelter (2011) è un’installazione di materiali trovati e oggetti riprodotti, lastre di marmo, fiammiferi giganti, indumenti, disposti sul pavimento e a parete con estremo ordine e attenzione formale. I temi che emergono sono quelli attualissimi dei campi profughi, dei rifugiati e dell’accoglienza.

Con maggiore rudezza, .)(. (2013) giustappone un contenitore di rifiuti industriali e una lastra di metallo ricurva, logoro e sporco il primo, nuova e lucidata a specchio la seconda: le forme si inclinano l’una verso l’altra – due pesanti pietre determinano questo equilibrio insolito – senza però arrivare a toccarsi e richiamando, nella loro posizione inconsueta, le parentesi del titolo.
Untitled (World of Ink) (2013) è uno scontrino gigante realizzato con la tecnica degli arazzi Gobelin. La contraddizione tra la banalità dell’oggetto riprodotto e la nobiltà della tecnica impiegata amplifica la carica straniante dell’oggetto ben al di là e con molta più finezza concettuale della semplice alterazione della scala. La raccolta, la selezione, la classificazione e la presentazione in serie degli oggetti è quindi un altro tratto comune a molti lavori, che vediamo ad esempio in Waiting, Giving, Spent (2012).
< (2019) è un meticoloso inventario della collezione di fermaporta in legno rubati di Kuri: il libro d’artista che prende così forma più che ricordare i lavori concettuali degli anni Sessanta e Settanta rimanda ai moderni cataloghi commerciali.

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Nato a Città del Messico nel 1970, Gabriel Kuri ha partecipato al “Taller de los Viernes” con Gabriel Orozco dal 1987 al 1991. Ha conseguito il BFA alla Escuela Nacional de Artes Plásticas all’Università Autonoma del Messico nel 1992 e il MFA al Goldsmiths’ College University di Londra nel 1995. Tra le molte mostre personali si ricordano: Gabriel Kuri: sorted, resorted al WIELS Contemporary Art Centre di Bruxelles (2019), Gabriel Kuri: spending static to save gas all’Oakville Galleries di Ontario (2018), Product Testing Unit all’Alte Fabrik Rapperswil (2016), Gabriel Kuri: with personal thanks to their contractual thingness all’Aspen Art Museum, (2014), Gabriel Kuri: All Probability Resolves Into Form al The Common Guild di Glasgow (2014), Gabriel Kuri: Bottled Water Branded Water al Parc Saint Leger Centre d’art Contemporain di Pougues-les-Eaux (2013), Gabriel Kuri alla Bergen Kunsthall (2012), Gabriel Kuri: Before Contingency After the Fact alla South London Gallery (2011), Nobody Needs to Know the Price of Your Saab al Blaffer Art Museum, University of Houston, (2010) e all’ ICA di Boston (2011), Join the Dots and Make a Point al Kunstverein Freiburg, (2010) e al Kunstverein Bielefeld (2010), Soft Information in Your Hard Facts al Museion di Bolzano (2010), Start to Stop Stopping al Museum van Hedendaagse Kunst Antwerpen (2003), Momento de Importancia al Museo Rufino Tamayo di Città del Messico (2000) e all’Aula Magna dell’Instituto Anglo-Mexicano di Città del Messico (2000) e all’ARCO di Madrid (2000). Le sue opere sono state presentate alla 12a Biennale di Havana (2015), alla 54a e alla 50a Biennale d’Arte di Venezia (2011 e 2003) e alla 5a Biennale di Berlino (2008). È rappresentato dalle gallerie Franco Noero di Torino, Kurimanzutto di Città del Messico, Regen Project di Los Angeles, Sadie Coles HQ di Londra.
Riferimenti bibliografici
Francesco Garutti, Il paesaggio di Gabriel Kuri, in “Abitare”, 6 giugno 2013, http://www.abitare.it/it/design/visual-design/2013/06/06/il-paesaggio-di-gabriel-kuri/
Óscar Benassini, Gabriel Kuri: Between the object and the symbol (interview), in “Animal” #27, https://revista-animal.com/current_issue/gabriel-kuri/
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